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LE MATERIE PRIME DELLA BIRRA: ACQUA E LIEVITO

Un fermentatore

Quanto è importante l’acqua nella produzione della birra? Importantissima: la sua presenza nella bevanda oscilla tra il 90% e il 93%. Dopo l’orzo, è quindi il secondo elemento fondamentale per produrre una buona birra.

Ma c’è acqua e acqua: difficilmente le migliori provengono da grandi fiumi o laghi; piuttosto, le acque di ruscelli o sorgenti sono quelle più ricche di sostanze minerali e organiche e di microrganismi come batteri e lieviti (and so on). Esiste una vera e propria geografia brassicola, soprattutto in funzione dei corsi d’acqua presenti nel territorio dove viene prodotta la birra. E’ interessante notare come, anche in una stessa regione, due corsi d’acqua a poca distanza l’uno dall’altro, danno alla bevanda due sapori anche completamente diversi.

Senza i lieviti, invece, non avverrebbe la fermentazione del mosto. Niente anidride carbonica, niente alcol. I responsabili di queste due caratteristiche della birra sono proprio questi microrganismi appartenenti alla famiglia dei funghi, che si nutrono degli zuccheri presenti nel mosto e li trasformano, appunto, in anidride carbonica e alcol. In presenza di ossigeno, i lieviti lavorano meglio e generano enzimi necessari all’assimilazione e conversione del mosto. Quando la quantità di mosto non trasformato inizia a scarseggiare, i lieviti si cominciano a sedimentare.

Per la birra, vengono usati principalmente due tipi di lieviti: il Saccharomyces carlsbergensis e il Saccharomyces cerevisiae. Il primo agisce a una temperatura che va dai 5° agli 8°C e viene usato, dunque, per le birre a bassa fermentazione (lager). Il processo, in questo caso, può durare fino a due settimane e dà vita a birre dal gusto, generalmente, più pulito, leggere e fragranti.

Il secondo tipo di lievito viene utilizzato per le birre al alta fermentazione (ale) e agisce a una temperatura che va dai 16° ai 23°C. Il processo dura poco (3-4 giorni), visto che il calore lo favorisce. Le birre che si ottengono con questo metodo hanno aromi e sapori particolarmente intensi.

MONTANAR: LA RIVOLUZIONE DELL’ETICHETTA

L'etichetta del Friulano 2012 Borc Sandrigo di Denis Montanar (fronte)Il retro dell'etichetta del Friulano 2012 Borc Sandrigo di Denis Montanar

Sappiamo davvero cosa beviamo? A indicarcelo, in teoria, dovrebbe essere l’etichetta posta sulle bottiglie che compriamo. Nel caso del vino, quella che dovrebbe essere la carta d’identità del prodotto ci mostra degli elementi che non riescono a soddisfare pienamente la voglia di sapere cosa stiamo versando nel calice. Le denominazioni (IGT, DOC, DOCG), ilnome del vitigno, il riferimento al territorio, alla cronaca e alla storia della bottiglia (e dell’azienda che lo produce) sono state fino adesso le informazioni scelte per apparire sulle etichette. Ma davvero bastano? Se lo è chiesto un vignaiolo friulano, Denis Montanar, che per i suoi vini ha scelto l’agricoltura biodinamica e, per il suo Friulano 2012 Borc Sandrigo, ha prodotto un nuovo tipo di etichetta, piena zeppa di informazioni (vedi foto): dal territorio, al metodo di coltivazione, a eventuali trattamenti, fino alla presenza di anidride solforosa.

Una vera e propria rivoluzione, in linea con la voglia di qualità e trasparenza di chi coltiva secondo le leggi della biodinamica.

Non resta che stappare la bottiglia!

REALE 8° ANNIVERSARIO

reale8Quest’anno Birra del Borgo compie 8 anni e, come da tradizione, festeggia ripartendo dalle origini! Il birrificio di Borgorose (Rieti), ogni anno dalla sua nascita, propone una versione riveduta e corretta della sua prima creatura, la Reale! Per l’ottavo anniversario, l’American Pale Ale di Leonardo Di Vincenzo ha mantenuto il riuscitissimo mix di luppoli della Reale 6° Anniversario (quattro tipi provenienti da quattro continenti diversi). Il tocco in più? Bucce d’arancia, radice di genziana e una piccola percentuale di altre spezie aggiunte in bollitura!
Il risultato è una birra dal colore ambrato con un amaro pieno e gradevole e un affascinante bouquet di aromi che vanno dalla frutta tropicale all’agrumato!

E’ già tra le nostre spine, ma è disponibile anche nel formato da 0,75 cl in bottiglia!

LE MATERIE PRIME DELLA BIRRA: IL LUPPOLO

luppoloIl luppolo è una pianta orticacea rampicante (Humulus Lupulus), della stessa famiglia della cannabis, che usata nella produzione della birra ha svariate funzioni:

  • controbilancia la dolcezza del malto con il suo amaro,
  • arricchisce la birra con i suoi aromi,
  • ha un’azione di prevenzione anti batterica,
  • favorisce la coagulazione in pentola di proteine,
  • fornisce una buona schiuma stabile e allunga i tempi di conservazione.

Proprio quest’ultima funzione ha favorito il trasporto, la diffusione e la conservazione della birra in tutto il mondo: infatti prima dell’utilizzo del luppolo la birra prodotta era destinata solo all’uso locale in quanto, senza l’azione conservante naturale della pianta, si rovinava rapidamente.

Esistono luppoli da aroma, amaricanti e doppiovalenti. Nella prima categoria troviamo: Saaz, Spalt, Tettnanger, Hallertauer Mittelfrüh (detti anche “nobili”), East kent e Styrian Goldings, Fuggles, Cascade e molti altri. Amaricanti sono, invece; Brewer’s Gold, Nugget, Chinook, Eroica, ecc. Sono luppoli doppiovalenti: Northen Brewer, Columbus, Cluster, Perle e Centennial.

Il luppolo può essere utilizzato non solo durante la bollitura, ma anche “a freddo”, durante la fermentazione. Questa tecnica, chiamata “dry hopping”, permette di mantenere intatti olii essenziali che a caldo verrebbero persi, così da contribuire maggiormente al profilo aromatico della birra.

LA BIRRA E L’UVA… ECCO COSA VI SIETE PERSI!

Dare un microfono in mano a Lorenzo Dabove (Kuaska) è sempre un gesto che ha delle conseguenze esaltanti. Il conduttore della serata organizzata al no.au il 23 aprile ha guidato i commensali lungo un percorso affascinante, che sembrava una favola: quella della volpe e l’uva, in versione ” moderna”. Le protagoniste della serata, come già avevamo anticipato, sono state le birre. E non un tipo di birra qualunque, bensì quella che ha incontrato il vino. La degustazione ha avuto inizio con un bel bicchiere di Vigneronne di Cantillon (fatta con uve moscato) accompagnate da un gustoso salame di Montegioco (alla Demon Hunter, belgian strong ale del birrificio di Riccardo Franzosi, bravo anche a fare i salumi!). La Vigneronne ha poi lasciato posto alla delicatezza di una birra con il 50% di mosto di Malvasia, fatta rifermentare in bottiglia con metodo classico. Stiamo parlando dell’Equilibrista 2012 Blanc di Birra del Borgo! Anche Leonardo di Vincenzo era presente alla serata e si è divertito a spiegare qualcosa in più sulla nuova birra (al no.au in anteprima). E’ arrivato, successivamente, il momento di un’altra novità: l’Open Mind del Birrificio Montegioco, fatta con mosto d’uva croatina. Una birra elegante, che ha trovato un piatto degno a farle da complice: la polpetta di vitello e uvette con fonduta di gorgonzola, rosmarino e bietole selvatiche all’aceto di miele di Gabriele Bonci. Riccardo Franzosi era lì con noi a raccontare la sua favola personale, il suo amore per la birra, ma anche per l’uva… e le botti. A seguire, chi ha partecipato alla serata ha potuto assaggiare la D’Uvabeer, di Loverbeer (brassata con mosto di uva freisa) e anche questa raccontata da chi l’ha fatta, Valter Loverier. Una succulenta simulazione di bbq (costine di maiale in salsa barbecue) è apparsa sui tavoli insieme ai bicchieri, prima che Kuaska conducesse verso il dolce. Il dessert (una panna cotta ai lamponi) ha trovato l’abbinamento perfetto nella Noel Perbacco di Baladin: birra da meditazione con il 25% di mosto di Dolcetto, una nuova interessantissima creatura di Teo Musso, che ha fatto conoscere ai partecipanti anche la nuova arrivata in famiglia, la piccola Soraya!

Il no.au ringrazia tutti coloro che hanno partecipato, con la loro curiosità e allegria, e i birrai che sono stati con noi… Grazie anche a Lorenzo Dabove, che ci ha raccontato una bellissima favola (interrotta qua e là da divertenti parentesi calcistiche…).

Alla prossima!

LA BIRRA E L’UVA

Ricordate la volpe di Esopo? Sì, proprio quella che non riusciva a raggiungere il grappolo d’uva… Il 23 aprile, a partire dalle 21, la fiaba si ripropone in chiave moderna, al no.au (piazza Montevecchio, 16A, Roma). Cambia il protagonista: non più la volpe, bensì… la birra! A scrivere la nuova favola sono alcuni birrai che hanno intrapreso l’affascinante sfida per raggiungere il tanto desiderato grappolo. Leonardo Di Vincenzo (Birra del Borgo), Riccardo Franzosi (Birrificio Montegioco), Teo Musso (Birra Baladin) e Valter Loverier (LoverBeer) vi racconteranno le loro birre innamorate del vino, insieme a un commentatore d’eccezione, Lorenzo Dabove (in arte Kuaska).

La ciarcuterì del no.au e i piatti di Gabriele Bonci accompagneranno la degustazione delle vere protagoniste della serata: L’equilibrista 2012 Blanc di Birra del Borgo , Open Mind di Montegioco, D’uvabeer del birrificio Loverbeer, Vigneronne della Brasserie Cantillon. Siete curiosi di sapere come finisce la fiaba? Dovrete attendere fino a martedì 23 aprile, quando Kuaska vi guiderà verso il finale…

Il costo della serata è di 30 euro e, per parteciparvi, è necessario prenotare al numero 0645652770.

Ecco a voi le vere protagoniste della serata:openmind-montegioco-croatina Open Mind (Birrificio Montegioco): prodotta con aggiunta, in fermentazione, di uva Croatina dei Vigneti Massa. Servita in un flûte da spumante si presenta color ambrato, limpido, con schiuma persistente sfumata di rosa; l’olfatto è molto complesso, presenta un’evidente nota vinosa, accompagnata da sentori di fiori secchi, viola, frutti di bosco, arancio. In bocca c’è grande struttura, ammorbidita dalla rotondità e dal calore dell’alcol e appena alleggerita da una lieve vena acidula. Finisce molto elegante, sulla secchezza, con una piacevolissima nota di uva fresca. Complessa, intrigante, dedicata ai palati esigenti. Abbinamenti suggeriti: come aperitivo, oppure con pesce di mare alla griglia, crostacei.

equilibrista

L’equilibrista 2012 Blanc (Birra del Borgo): prodotta con il 50% di mosto di Duchessa (la saison fatta con il farro coltivato sui monti della Duchessa) e il 50% di mosto di Malvasia, è una birra “metodo classico”. Avete capito bene! Questa birra viene fatta rifermentare in bottiglia con l’aggiunta di il liqueur de tirage che di liqueur d’expedition.

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D’uvabeer (Loverbeer): birra prodotta con mosto d’uva Freisa. La fermentazione avviene grazie alla inoculazione di batteri saccaromiceti, capaci di fermentare non solo il mosto di birra, ma anche quello d’uva. Fruttata e acida è una birra avvolgente da 8°

532742_437373223021172_1010295962_nVigneronne (Brasserie Cantillon): legger, secca e acida, si tratta di una birra a fermentazione spontanea. Dopo 18 mesi in botte, viene aggiunta uva moscato e riposa in botte per altri sei mesi. Infine, si miscela tutto con una parte di lambic invecchiata un anno e si imbottiglia.

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Noel Perbacco 2002 (Baladin): la birra di Natale di Baladin con aggiunta (al 25%) di mosto di Dolcetto e fatta invecchiare nelle cantine del birrificio.

LE MATERIE PRIME DELLA BIRRA: L’ORZO

Da cosa nasce la birra? Cominciamo a scoprire qualcosa in più sulla produzione brassicola a partire dai quattro elementi base di cui si compone la birra: orzo, acqua, luppolo, lievito.

orzoL’orzo è il cereale più utilizzato e più indicato per la fabbricazione della birra. Ne esistono tantissime varietà, ma quelle usate dai birrai si riducono a tre: l’orzo distico, il tetrastico e l’esastico. Ogni spiga è composta da una serie di strutture (rachidi), ognuna delle quali sostiene sei fiori, che produrranno chicchi. Se vengono resi fertili due fiori che daranno vita a due chicchi, avremo l’orzo distico. Se fiori e chicchi sono quattro, l’orzo è tetrastico, se sono sei avremo un tipo esastico. Il più pregiato è il distico, perché due chicchi crescono in maggior quantità e regolarità rispetto a quattro o sei. Per la birra, è preferibile usare il cereale seminato in primavera: produce chicchi più grossi, contiene meno umidità rispetto a quello seminato in inverno, ha una minore percentuale di chicchi rotti, un’alta percentuale di amido e un aroma di partenza dolce.

Il chicco è costituito da acqua, proteine, lipidi, carboidrati e minerali ed è rivestito da una guaina (glumella). Le parti più importanti sono il corpo farinoso (per la quantità di amidi) e l’embrione (che contiene gli enzimi necessari per la maltazione).

 

 

DI SAISON IN SAISON!

“Saison”, in francese, non significa solo “stagione”… significa anche “birra”! Stiamo parlando di uno stile nato verso la fine dell’Ottocento nella Vallonia (sud del Belgio), dove la produzione di birra era volta soprattutto a dissetare uomini esausti dal lavoro dei campi. Proprio per questo, le caratteristiche fondamentali di queste bevande stagionali (venivano prodotte in autunno per l’estate) erano e rimangono la beverinità, la leggerezza, la freschezza, i profumi. Le saison sono birre che sanno di primavera, nate a partire dall’uso di cereali spesso misti che si prestano a diverse fantasiose aromatizzazioni. La tradizione delle saison, come è successo per gli altri stili di birra, non si è fermata nel paese d’origine: adesso, vengono prodotte nel resto del mondo, dagli Stati Uniti all’Italia. Fermiamoci qui, ad alcune saison nostrane:

  • Duchessa di Birra del Borgo: 5,8° per una birra prodotta con il farro, tradizionalmente coltivato nel territorio del Parco Regionale dei Monti della Duchessa. Si presenta dorata, con riflessi aranciati, appena velata; la schiuma è abbondante e pannosa. Al naso è molto fruttata (banana, ananas, frutta tropicale) e floreale, leggermente pepata. In bocca la gasatura è fine, c’è una leggera acidità e il corpo è adeguato. La luppolatura è moderata, il finale molto piacevole, fresco.

duchessa

  • Enkir di Birra del Borgo: saison da 6,1°, prodotta con il 55% del cereale Enkir (Triticum Monococcum, il primo cereale addomesticato sulla terra). L’ingrediente protagonista regala alla birra meravigliose note resinose e speziate che si sposano con le note di frutta a polpa gialla. Birra di grande equilibrio, delicata e molto morbida.

enkir

  •  Wayan di Baladin: nella prima versione, si tratta di una birra fatta a partire da tre cereali: orzo, farro, frumento. Evoca ricordi di campagne e agrumeti assolati che con i loro profumi ben si sposano con i suoi sentori di fiori di zagara, pera e bergamotto. Frizzante e decisamente rinfrescante, di colore oro carico si presenta leggermente torbida, a tratti opalescente. Nella versione 2013, per la Wayan vengono utilizzati ben 5 cereali (orzo, farro, frumento, segale e grano saraceno) e 9 spezie differenti (tra cui 5 tipi di pepe)!

wayan

Buona primavera!

LA PILS? QUANTO E’ SCIK!

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Direttamente da Borgorose (e non dalla Boemia), una sorprendente interpretazione delle tradizionali pils ceche. Per la Scik Pils viene utilizzata la classica tecnica della tripla decozione, che permette di far uscire fuori tutti gli aromi e i sentori del malto. Nella versione di Birra del Borgo, i luppoli provengono in parte dall’America (Cascade e Centennial), in parte dalla Boemia stessa: a farla da padrone è il nobile luppolo Saaz, usato anche in dry hopping (durante la fase di fermentazione). Il risultato? Una birra fresca e leggera, da 4,8°, dal bouquet floreale molto intenso. Una vera scickeria!

SCURE DA OLTREMANICA

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Scure e impenetrabili, protette da una schiuma che sembra crema. L’identikit è chiaro: stiamo parlando delle stout, birre ad alta fermentazione della tradizione inglese e irlandese, prodotte con malti tostati e luppolate quanto basta. Le Dry Stout (le classiche irlandesi) hanno un gusto deciso, con forti sentori di caffè, cacao, frutta secca, una gradazione alcolica non elevata e un amaro finale che ben bilancia il malto. Le Imperial Stout sono molto più alcoliche (9°-10°) e nacquero nel birrificio Thrale di Londra, quando la prima Russian Imperial Stout fu brassata per essere esportata alla corte dello zar di Russia. Le stout inglesi, in genere, sono meno secche, più dolci rispetto alle dry irlandesi. Un esempio è la Milk Stout, variante ottenuta aggiungendo lattosio durante la produzione della birra. Tale tipo di zucchero, derivato dal latte, non viene fermentato dal Saccharomyces cerevisiae (lievito attivo tra i 16° e i 23°, quindi destinato alle birre ad alta fermentazione). Pertanto, l’ingrediente in più lascerà alla birra dolcezza, cremosità e… calorie.

E le Chocolate Stout? A dispetto del nome, non vi è aggiunta di cioccolato, almeno tradizionalmente (in alcuni casi, ne viene usata una percentuale non elevata). Il nome si riferisce, invece, a quelle stout in cui sono più intense le note di cioccolato date dai malti. Per enfatizzare il sapore del caffè, invece, alcuni mastri birrai aggiungono un fondo di caffè alla birra ( che viene chiamata Coffee Stout) o addirittura caffè, latte e zucchero (Coffee Cream Stout) per addolcirle…

Una variante particolare e molto apprezzata è quella delle Oyster Stout (vedi la Perle ai Porci di Birra del Borgo), prodotte con aggiunta di ostriche, che le conferiscono un sapore più salmastro e amaro. Nelle Oatmeal, invece, troviamo una percentuale di avena: di solito, non oltre il 30%, per evitare un sapore troppo amaro.

Dulcis in fundo, l’antenata di tutte queste varianti. Già, perché in principio era la Porter, che quando assumeva un corpo più strutturato e un gusto più deciso, veniva chiamata Porter Stout (che significa “forte”). La birra preferita dagli scaricatori di porto londinesi (“porter” vuol dire “facchino”) è una birra meno corposa, con una nota caffeina molto marcata e la tipicità derivata dal lievito utilizzato per l’alta fermentazione. Una birra anche amara e molto, molto beverina!

 

 

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